In questa sezione potrete trovare una raccolta di articoli che approfondiscono gli articoli fondamentali dello statuto dell'Azione Cattolica. Gli articoli presenti in questa rubrica del sito sono curati dal Prof. Leobaldo Traniello.
L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici che si impegnano liberamente, in forma co-munitaria e organica e in diretta collaborazione con la Gerarchia, per la realizzazione del fine gene-rale apostolico della Chiesa.
Forse la prima cosa da osservare è che dei laici cristiani avvertano liberamente che sia necessario o almeno opportuno unirsi in un’associazione allo scopo di contribuire alla realizzazione del fine generale apostolico della Chiesa. In effetti, non sono pochi coloro che ritengono contraddittorio un simile espediente, in particolare dopo che il Concilio Vaticano II ha chiarito in modo convincente che in forza del battesimo tutti i cristiani hanno la responsabilità di operare per l’evangelizzazione del mondo (L.G. 30-38, in particolare 33). Si può mettere in evidenza che lo stesso Concilio ha ritenuto di sottolineare l’importanza dell’Azione Cattolica (A.A. 20), ma non per tutti ciò sembra essere sufficiente.
Che cosa può far emergere l’esigenza o almeno l’opportunità dell’iniziativa in questione?
La risposta a un simile interrogativo dovrebbe emergere dai fatti: noi viviamo in un’epoca in cui la diffusione della scolarizzazione e lo sviluppo degli strumenti di comunicazione sociale hanno portato ad una situazione di notevole confusione nell’opinione pubblica riguardo (per quel che interessa qui) a tutto ciò che concerne la Chiesa: da una parte, l’uscita dall’analfabetismo della quasi totalità della popolazione italiana non significa che la popolazione stessa abbia effettivamente maturato un sufficiente bagaglio di conoscenze e un adeguato spirito critico; dall’altra, il modo in cui sono usati gli strumenti di informazione – da parte di chi produce le comunicazioni e da parte di chi le riceve – generalmente giustifica ampie riserve. In definitiva, si deve constatare che la maggioranza dei battezzati mostra di non aver capìto il senso della Chiesa, e, provocata dalle lusinghe di facili modelli di comportamento, progressivamente se ne allontana chiudendosi in una propria solitudine.
Se la faccenda portasse effettivo vantaggio all’umanità si potrebbe solo esserne contenti: ma è lècito domandarsi se le proposte alternative al Vangelo sono capaci di produrre un modo di vivere felice. Per restare alle due più forti proposte degli ultimi due secoli, il fallimento storico del marxismo e le pesanti contraddizioni del liberalismo (che pure, entrambi, presentavano aspetti senz’altro positivi) sono sotto gli occhi di tutti, e provocano serie riflessioni.
Paradossalmente, il cristiano che approfondisce la Parola di Dio è in grado di rendersi conto che il messaggio evangelico che a molti appare una specie di favola ha in realtà un senso di concretezza straordinario: basterebbe considerare come sfugga alle definizioni rigide della realtà perché essa è caratterizzata di incessanti dinamismi che bisogna imparare a capire e orientare, oppure come èviti di demandare agli altri la responsabilità delle situazioni ma, invece, chiami in causa i singoli perché si assumano le loro responsabilità, ricordando che c’è la possibilità del perdóno degli errori che inevitabilmente si commettono, al fine di ricuperare la persona a dare il proprio contributo alla crescita comune... Ma questo senso di concretezza si coglie se la lettura della Parola di Dio non è condotta superficialmente: essa deve accompagnare quotidianamente il battezzato perché possa confrontarsi con le vicende (grandi e piccole) in cui è coinvolto ogni giorno, e misurare l’altezza e la profondità della Parola: ed è questa la preghiera.
Ma un altro scoglio si incontra nell’opinione pubblica di oggi (e non solo di oggi): da una parte il Vangelo proclamato dalla Chiesa ìndica la via per realizzare un’umanità perfetta; dall’altra la pratica di vita degli uomini di Chiesa (non solo chierici e religiosi ma anche laici) troppo spesso contraddice al Vangelo. Naturalmente si sottolinea quello che va male e si trascura quello che va bene (“fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce”), il che non è onesto; ma a parte questo, non c’è di che meravigliarsi: la Chiesa è stata fondata da Gesù Cristo ma è composta di uomini: e davanti a Dio “nessun vivente è giusto”, ma Dio offre il perdóno a chiunque si penta e si converta (p. es.: cfr. Is 1,18-20).
Se non fosse così, io dove potrei andare? Di fronte a questo interrogativo a me sembra emergere con piena evidenza che la Chiesa è veramente sacramento di salvezza. Ancóra una volta, insomma, concludiamo con Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Gv 6, 68).
Insomma: essere cristiani oggi (come sempre) non è facile, ma il Vangelo è la via che liberamente riconosciamo obbligata per offrire all’umanità una prospettiva di vita: ben sapendo, concretamente, che i poveri li avremo sempre fa noi, e che di loro dovremo sempre portare la responsabilità che ci compete.
Tutto sommato, ce n’è quanto basta per giustificare l’opportunità di riprendere quella che era la consuetudine della Chiesa primitiva, quando i fedeli «erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere» (At 2, 42). Il contesto culturale è molto cambiato rispetto a duemila anni fa, ma l’essere umano ha ancora quei lìmiti e quelle potenzialità che gli permettono di intendere e, malgrado tutto, di mettere in pratica la Parola di Dio. L’associazione, per questo, si rivela di grande aiuto.
A cura del Prof. Leobaldo Traniello
L’impegno dell’Aci, essenzialmente religioso apostolico, comprende la evangelizzazione, la santificazione degli uomini, la formazione cristiana delle loro coscienze in modo che riescano ad impregnare dello spirito evangelico le varie comunità e i varii ambienti.
E’ noto che il Concilio ecumenico “Vaticano II” non incontrò consenso unanime neppure nella Chiesa: basterà ricordare il caso-limite del vescovo Lefèbvre. Le ragioni della difficoltà ad accettare i risultati del Concilio sono probabilmente da attribuire alla naturale “resistenza al cambiamento” da parte di chi ha trovato un certo tipo di equilibrio interiore e che dai cambiamenti sente minacciate le proprie sicurezze.
Qualunque sia la ragione psicologica che abbia generato quelle resistenze, va anche considerato che l’annuncio del Concilio cadde in un’epoca particolare: il mondo intero era uscito dalla seconda guerra mondiale da appena quindici anni (tanti per un giovane, ma pochi per una persona di età matura o addirittura di età avanzata), e, pur nel ritrovato silenzio (si fa per dire) delle armi si vivevano le conseguenze drammatiche della divisione del mondo in due blocchi, uno dei quali – fra l’altro – aveva inserito nel proprio programma la lotta alla religione considerata “oppio dei popoli”. La Chiesa italiana era percorsa da forti preoccupazioni: in Italia, infatti, operava il più forte Partito Comunista del mondo occidentale, che, oltretutto, poteva vantare di avere svolto un ruolo fondamentale nella resistenza al Fascismo. Le prime elezioni dell’Italia repubblicana (a suffragio realmente universale: dal 1946 in Italia il diritto di voto fu esteso anche alle donne) vedevano contrapposti, dunque, i partiti di diretta ispirazione marxista, e dunque antireligiosi per programma, e un solo partito che, invece, faceva del cattolicesimo il proprio termine di riferimento: e non c’era alcuna garanzia che la Democrazia Cristiana potesse raccogliere consensi maggiori che il Partito Comunista e il Partito Socialista alleati. Di qui la decisione di usare la struttura della Chiesa per fare propaganda a favore della DC. “Strutture della Chiesa” significa parrocchie e associazioni, e dunque anche l’Azione Cattolica che era ancora quasi l’unica associazione ecclesiale, dato che il Fascismo – che volle riservare all’Opera Nazionale Balilla l’educazione della gioventù – fu costretto da Pio XI a consentire la sopravvivenza almeno dell’Azione Cattolica. Fu proprio il responsabile degli Uomini di A.C., Luigi Gedda (che pochi anni dopo – nel 1952 – diventerà presidente nazionale) a fondare, l’8 febbraio 1948, i Comitati Civici, ufficialmente autonomi rispetto alla Chiesa, per dare struttura al fiancheggiamento alla D.C..
Grazie alla grande mobilitazione, il 18 aprile 1948 la D.C. poté conquistare la maggioranza relativa dei voti (48,5%).
Il coinvolgimento dell’Azione Cattolica nell’impegno di propaganda politica, o, meglio, partitica, non fu senza traumi, ma ebbe anche conseguenze sul modo di vivere l’A.C. da parte dei socii, specialmente di quelli aventi una cultura meno elaborata: per molti il fiancheggiamento del partito fu inteso come impegno di difesa della fede e della Chiesa, e dunque assunse un significato religioso: e ciò in quel particolare momento storico poté, almeno in Italia, risultare opportuno. Ma altri, invece, vedevano nell’impegno a favore di un partito, sia pure dichiaratamente cristiano, un compromesso che sarebbe ricaduto negativamente sulla Chiesa che, sia pure formalmente non coinvolta nei Comitati Civici, di fatto faceva politica.
Lo Statuto dell’Azione Cattolica elaborato durante il Fascismo risentiva del compromesso fra Stato e Chiesa per consentire all’A.C. di sopravvivere: l’associazione era stata sottomessa al controllo diretto della gerarchia; nel 1946 lo Statuto venne rinnovato, e rimase in vigore fino al 1965. L’art. 1 diceva: «L’Azione Cattolica Italiana è l’organizzazione del laicato cattolico per una speciale e diretta collaborazione con l’apostolato gerarchico della Chiesa. A tale scopo l’A.C.I. cura ... la formazione spirituale ed apostolica dei suoi membri, ne dirige le attività per l’applicazione, la diffusione e la difesa dei principii cristiani nella vita individuale, familiare e sociale, e professa particolare devozione e obbedienza al Vicario di Cristo. ... ». Il confronto con l’art. 2 dello Statuto entrato in vigore nel 1969, e non modificato nei successivi ritocchi, suona in modo sensibilmente diverso: la differenza più vistosa è la scomparsa dell’atteggiamento di “difesa” dei principii cristiani e la sua sostituzione con l’impegno a impregnare dello spirito evangelico le varie comunità e i varii ambienti. E’ evidente che in tal modo si chiede ai cristiani di approfondire la propria formazione in modo da sapersi immergere nella realtà quotidiana per essere non polemica contrapposizione alla società scristianizzata, ma sale che dà sapore, lievito che fa crescere la pasta, lucerna che dà luce a comunità che hanno perso il senso della solidarietà, specialmente – nella pratica – con i vicini. Dunque: una chiamata alla responsabilità personale.
A cura del Prof. Leobaldo Traniello
I laici che aderiscono all’A.C.I.:
a. si impegnano a una formazione personale e comunitaria che li aiuti a corrispondere alla universale vocazione alla santità e all’apostolato nella loro specifica condizione di vita;
b. collaborano alla missione della Chiesa secondo il modo loro proprio portando la loro esperienza ed assumendo le loro responsabilità nella vita dell’Associazione per contribuire e alla esecuzione dell’azione pastorale della Chiesa, con costante attenzione alla mentalità, alle esigenze e ai problemi delle persone, delle famiglie e degli ambienti;
c. si impegnano a testimoniare nella loro vita l’unione con Cristo e ad informare allo spirito cristiano le scelte da loro compiute, con propria personale responsabilità, nell’àmbito delle realtà temporali.
Con l’articolo 3 lo Statuto dell’A.C.I. passa a indicare quali impegni si assume colui che aderisce all’Associazione. Anche qui è interessante confrontare il dettato del 1969 con quello dello Statuto precedente (che, ricordiamo, risale al 1946). Nello Statuto dell’immediato dopoguerra l’art. 1 diceva che «l’Azione Cattolica Italiana è l’organizzazione nazionale del laicato cattolico per una speciale e diretta collaborazione con l’apostolato gerarchico della Chiesa. A tale scopo l’Aci cura, per sé stessa o per altre Opere Cattoliche, dipendenti o coordinate, la formazione spirituale ed apostolica dei suoi membri, ne dirige le attività per l’applicazione, la diffusione e la difesa dei principii cristiani nella vita individuale, familiare e sociale, e professa particolare devozione e obbedienza al Vicario di Cristo».
Balza sùbito all’occhio la differenza di impostazione del discorso: dove all’Associazione (vale a dire alla sua dirigenza) era affidato il cómpito di guidare i socii nella loro attività apostolica, ora si chiede ai socii di impegnarsi personalmente a operare «nella loro specifica condizione di vita» in modo da testimoniare il Vangelo di Gesù Cristo: e, logicamente, si chiede loro di mettersi nelle condizioni (anche) culturali di poter essere testimoni autentici e coerenti. E qui è doveroso richiamare il Concilio “Vaticano II” che nella Costituzione Lumen gentium (promulgata il 21 novembre 1964) trattando dei laici dice: «Col nome di laici si intendono qui tutti i fedeli ad esclusione dei membri dell’ordine sacro e dello stato religioso sancito nella Chiesa, i fedeli cioè che, dopo essere stati incorporati a Cristo col battesimo e costituiti Popolo di Dio e, nella loro misura, resi partecipi dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, per la loro parte compiono nella Chiesa e nel mondo la missione propria di tutto il popolo cristiano. [...] Per loro vocazione è proprio dei laici cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio. Vivono nel secolo, cioè implicati in tutti i singoli doveri e affari del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta. Ivi sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall’interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo mediante l’esercizio del proprio ufficio e sotto la guida dello spirito evangelico, e in questo modo a manifestare Cristo agli altri, principalmente con la testimonianza della loro stessa vita, e col fulgore della loro fede, della loro speranza e della loro carità» (n. 30). Quasi un anno dopo, il decreto sull’apostolato dei laici (Apostolicam actuositatem) avrebbe sviluppato e approfondito questi concetti.
È evidente il salto culturale compiuto dal Concilio: salto che in Italia fu reso possibile dall’avvìo di una più diffusa scolarizzazione e soprattutto dal progressivo superamento dell’atteggiamento di difesa con la conseguenza dell’apertura al confronto e al dialogo con chi aveva compiuto esperienze diverse da quelle italiane. Soprattutto va sottolineata la dichiarazione che «i laici [sono], nella loro misura, resi partecipi dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo»: che da una parte evidenzia la responsabilità derivante dal battesimo, dall’altra esalta il ruolo del laico nella Chiesa.
Da qui deriva il significato dell’Azione Cattolica: essa oggi si propone non come organizzazione che trasmette dall’alto indicazioni operative decise altrove, sia pure in un “altrove” qualificato; l’A.C. vede nell’organizzazione associativa un modo per far circolare idee ed esperienze – soprattutto (ma non solo) in ordine all’approfondimento della Parola di Dio – in modo da stimolare nei socii la consapevolezza del loro “ufficio sacerdotale, profetico e regale” da svolgere non solo nella Chiesa ma anche nella società nella quale vivono e operano. A cominciare dalla famiglia.
E allora può essere un utile spunto di riflessione anche un passo della Lettera a Diogneto: «I cristiani ... non si differenziano dagli altri uomini né per territorio né per lingua o [per] abiti. Essi non abitano in città proprie né parlano un linguaggio inusitato; la vita che conducono non ha nulla di strano. La loro dottrina non è frutto di considerazioni ed elucubrazioni di persone curiose, né si fanno promotori, come alcuni, di qualche teoria umana. Abitando nelle città greche e [in città] barbare [cioè non greche], come a ciascuno è toccato, e uniformandosi alle usanze locali per quanto concerne l’abbigliamento, il vitto e il resto della vita quotidiana, mostrano il carattere mirabile e straordinario, a detta di tutti, del loro sistema di vita» (V, 1-4).
A cura del Prof. Leobaldo Traniello
L’Azione Cattolica Italiana intende realizzare nella vita associativa un segno della unità della Chiesa in Cristo. Si organizza in modo da favorire la comunione fra i socii e con tutti i membri del Popolo di Dio, e da rendere organico ed efficace il comune servizio apostolico.
Il confronto con lo Statuto del 1946 consente di cogliere facilmente la svolta compiuta dal Concilio “Vaticano II”. L’art. 3 del 1946 diceva: «L’Aci ha carattere unitario. Essa si compone di Associazioni nazionali le quali si distinguono o per sesso e per età – l’Unione Uomini, l’Unione Donne, la Gioventù Maschile, e la Gioventù Femminile, che sono a base nazionale, diocesana e parrocchiale –; o per categoria – la Federazione Universitaria Cattolica Italiana, il Movimento Laureati e il Movimento Maestri, che sono a base nazionale e diocesana». In sostanza, l’Aci era costituita da sette organizzazioni distinte che si riunivano per dar vita a un’unica realtà pur mantenendo ciascuna le caratteristiche proprie (per altro decisamente affini in quanto derivanti dalla comune ispirazione perché tutte e sette originate come sviluppo della Società della Gioventù Cattolica Italiana fondata nel 1867).
L’articolo 12 / 1969 chiarirà in modo pratico ed esplicito l’affermazione che compare in questo art. 4: «realizzare nella vita associativa un segno dell’unità della Chiesa in Cristo»: in una società che vedeva avviata anche in Italia l’emancipazione della donna, che vedeva la progressiva evoluzione dell’economia con l’affermazione della produzione industriale, che vedeva la trasformazione anche del modo di vivere la famiglia, la conservazione dell’organizzazione precedente avrebbe finito rapidamente per risultare estranea alla mentalità che stava maturando. Dunque: non un’Aci come una specie di federazione di associazioni affini, ma un’Aci unica che si organizza per dare una risposta concreta alle esigenze dei tempi nuovi. Per esempio non più le due Unioni di adulti e le due organizzazioni giovanili, ma – come dirà l’art. 12 – un’associazione che si differenzia al proprio interno, per rispondere praticamente a dati di fatto, in Settore Adulti e Settore Giovani, e i due Settori insieme (almeno teoricamente) prendono a cuore l’educazione dei bambini e dei ragazzi (attività, questa, prima affidata all’Unione Donne: v. art. 68 / 1946: «All‘Unione Donne sono affidati i Fanciulli di AC dai 4 ai 10 anni di età», e dagli 11 anni ai 30 – se non sposati – alle Gioventù Maschile e Femminile: artt. 69 e 73 / 1946).
In conseguenza del nuovo modi di pensare l’Aci in relazione all’evoluzione culturale era doverosa l’affermazione successiva, espressa nella seconda parte dell’articolo 4: l’Aci «si organizza in modo da favorire la comunione fra i socii e con tutti i membri del Popolo di Dio, e da rendere organico ed efficace il comune servizio apostolico»: dunque laici, chierici e religiosi devono mirare a costruire assieme, ciascuno secondo la propria vocazione, una Chiesa che risulti credibile agli occhi della comunità nella quale si vive e si opera, perché la Chiesa è costituita da tutti i battezzati e tutti i battezzati sono tenuti a testimoniare che la Parola di Dio è Parola di salvezza che vale in qualunque epoca e in qualunque condizione di vita. È evidente la deduzione dal Decreto sull’apostolato dei laici: «...l’apostolato associato corrisponde felicemente alle esigenze umane e cristiane dei fedeli e al tempo stesso si mostra come segno della comunione e dell’unità della Chiesa in Cristo che disse: ”Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”» (A.A., 18). Ma va anche tenuto presente quanto lo stesso Decreto dice poco sotto il passo citato: «Ai laici tocca assumere la instaurazione dell’ordine temporale come cómpito proprio e, in esso, guidati dalla luce del Vangelo e dal pensiero della Chiesa e mossi dalla carità cristiana, operare direttamente e in modo concreto; come cittadini cooperare con gli altri cittadini secondo la specifica competenza e sotto la propria responsabilità; cercare dappertutto e in ogni cosa la giustizia del regno di Dio». Chiaramente sono indicazioni di questo genere che orientano a «rendere organico ed efficace il comune impegno apostolico».