L’impegno dell’Aci, essenzialmente religioso apostolico, comprende la evangelizzazione, la santificazione degli uomini, la formazione cristiana delle loro coscienze in modo che riescano ad impregnare dello spirito evangelico le varie comunità e i varii ambienti.
E’ noto che il Concilio ecumenico “Vaticano II” non incontrò consenso unanime neppure nella Chiesa: basterà ricordare il caso-limite del vescovo Lefèbvre. Le ragioni della difficoltà ad accettare i risultati del Concilio sono probabilmente da attribuire alla naturale “resistenza al cambiamento” da parte di chi ha trovato un certo tipo di equilibrio interiore e che dai cambiamenti sente minacciate le proprie sicurezze.
Qualunque sia la ragione psicologica che abbia generato quelle resistenze, va anche considerato che l’annuncio del Concilio cadde in un’epoca particolare: il mondo intero era uscito dalla seconda guerra mondiale da appena quindici anni (tanti per un giovane, ma pochi per una persona di età matura o addirittura di età avanzata), e, pur nel ritrovato silenzio (si fa per dire) delle armi si vivevano le conseguenze drammatiche della divisione del mondo in due blocchi, uno dei quali – fra l’altro – aveva inserito nel proprio programma la lotta alla religione considerata “oppio dei popoli”. La Chiesa italiana era percorsa da forti preoccupazioni: in Italia, infatti, operava il più forte Partito Comunista del mondo occidentale, che, oltretutto, poteva vantare di avere svolto un ruolo fondamentale nella resistenza al Fascismo. Le prime elezioni dell’Italia repubblicana (a suffragio realmente universale: dal 1946 in Italia il diritto di voto fu esteso anche alle donne) vedevano contrapposti, dunque, i partiti di diretta ispirazione marxista, e dunque antireligiosi per programma, e un solo partito che, invece, faceva del cattolicesimo il proprio termine di riferimento: e non c’era alcuna garanzia che la Democrazia Cristiana potesse raccogliere consensi maggiori che il Partito Comunista e il Partito Socialista alleati. Di qui la decisione di usare la struttura della Chiesa per fare propaganda a favore della DC. “Strutture della Chiesa” significa parrocchie e associazioni, e dunque anche l’Azione Cattolica che era ancora quasi l’unica associazione ecclesiale, dato che il Fascismo – che volle riservare all’Opera Nazionale Balilla l’educazione della gioventù – fu costretto da Pio XI a consentire la sopravvivenza almeno dell’Azione Cattolica. Fu proprio il responsabile degli Uomini di A.C., Luigi Gedda (che pochi anni dopo – nel 1952 – diventerà presidente nazionale) a fondare, l’8 febbraio 1948, i Comitati Civici, ufficialmente autonomi rispetto alla Chiesa, per dare struttura al fiancheggiamento alla D.C..
Grazie alla grande mobilitazione, il 18 aprile 1948 la D.C. poté conquistare la maggioranza relativa dei voti (48,5%).
Il coinvolgimento dell’Azione Cattolica nell’impegno di propaganda politica, o, meglio, partitica, non fu senza traumi, ma ebbe anche conseguenze sul modo di vivere l’A.C. da parte dei socii, specialmente di quelli aventi una cultura meno elaborata: per molti il fiancheggiamento del partito fu inteso come impegno di difesa della fede e della Chiesa, e dunque assunse un significato religioso: e ciò in quel particolare momento storico poté, almeno in Italia, risultare opportuno. Ma altri, invece, vedevano nell’impegno a favore di un partito, sia pure dichiaratamente cristiano, un compromesso che sarebbe ricaduto negativamente sulla Chiesa che, sia pure formalmente non coinvolta nei Comitati Civici, di fatto faceva politica.
Lo Statuto dell’Azione Cattolica elaborato durante il Fascismo risentiva del compromesso fra Stato e Chiesa per consentire all’A.C. di sopravvivere: l’associazione era stata sottomessa al controllo diretto della gerarchia; nel 1946 lo Statuto venne rinnovato, e rimase in vigore fino al 1965. L’art. 1 diceva: «L’Azione Cattolica Italiana è l’organizzazione del laicato cattolico per una speciale e diretta collaborazione con l’apostolato gerarchico della Chiesa. A tale scopo l’A.C.I. cura ... la formazione spirituale ed apostolica dei suoi membri, ne dirige le attività per l’applicazione, la diffusione e la difesa dei principii cristiani nella vita individuale, familiare e sociale, e professa particolare devozione e obbedienza al Vicario di Cristo. ... ». Il confronto con l’art. 2 dello Statuto entrato in vigore nel 1969, e non modificato nei successivi ritocchi, suona in modo sensibilmente diverso: la differenza più vistosa è la scomparsa dell’atteggiamento di “difesa” dei principii cristiani e la sua sostituzione con l’impegno a impregnare dello spirito evangelico le varie comunità e i varii ambienti. E’ evidente che in tal modo si chiede ai cristiani di approfondire la propria formazione in modo da sapersi immergere nella realtà quotidiana per essere non polemica contrapposizione alla società scristianizzata, ma sale che dà sapore, lievito che fa crescere la pasta, lucerna che dà luce a comunità che hanno perso il senso della solidarietà, specialmente – nella pratica – con i vicini. Dunque: una chiamata alla responsabilità personale.
A cura del Prof. Leobaldo Traniello