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Naturalmente, in pochi minuti è impossibile raccontare una storia lunga 140 anni: ma qualche sprazzo spero che potrà bastare a suggerire i caratteri di una vicenda comunque significativa per la vita della nostra gente.
Come tutte le operazioni umane, anche le vicende dell’Azione Cattolica si calano nella storia contingente dei luoghi e dell’epoca in cui si verificano. L’associazione che oggi chiamiamo Azione Cattolica nacque come risposta alla situazione politica e culturale dell’Italia del XIX secolo, all’inizio ancóra divisa in una decina di Stati ma protesa alla creazione dello Stato unitario. A partire dal 1848 le iniziative politiche e militari del Piemonte governato dai Savoia avviarono quel processo che si attuerà sopprimendo anche lo Stato della Chiesa, seguendo un programma anche antireligioso, che avrà il suo coronamento nella conquista di Roma nel 1870. Il modo in cui tutto ciò avvenne fu ritenuto offensivo dal papa Pio IX che, viste inutili le sue proteste, interruppe i rapporti con il governo italiano di cui volle ritenersi prigioniero, chiudendosi nel Vaticano. Ai cattolici fu esclusa la partecipazione alla vita politica del Regno d’Italia per non legittimarne l’esistenza.
Fu la situazione di questo periodo che suggerì a diversi laici cattolici di ampliare il loro modo di associarsi: fino ad allora nelle confraternite i laici si dedicavano ad opere di spiritualità e di carità, ora bisognava ampliare il campo per confrontarsi con una società nella quale si diffondevano idee contrarie alla religione. La Società della Gioventù Cattolica Italiana riuscì a superare le difficoltà che avevano spento altre iniziative. Annunciata nel 1867 da Mario Fani e Giovanni Acquaderni, e approvata dal papa nel 1868, la Società avviò un’esperienza che avrebbe contribuito non poco a riscoprire il senso del laicato nella Chiesa.
La storia dell’Azione Cattolica nella diocesi di Adria-Rovigo inizia poco dopo, nel 1869, quando il giovane don Giacomo Sichirollo, docente nel seminario di Rovigo, riunisce un gruppo di giovani della parrocchia dei Ss. Francesco e Giustina e fonda il primo circolo della Gioventù Cattolica della diocesi. L’anno successivo aderirà alla Società della Gioventù Cattolica Italiana, risultando il 15° in ordine di adesione, ma era stato il quarto in Italia in ordine di fondazione. Il secondo circolo della diocesi nascerà nel 1872 a Villadose, e verrà iscritto alla Società nel 1873, risultando il 65° aderente.
Confrontandosi con la realtà concreta dell’Italia dell’epoca, la Società della Gioventù Cattolica avvertì l’esigenza di studiarne le caratteristiche per orientare il proprio modo di essere presente fra gli uomini: nacque così, nel 1875, l’Opera dei Congressi, aperta anche ai non giovani, che svolse un’importante lavoro di studio e di preparazione. Il Comitato diocesano dell’Opera venne istituito anche da noi, nel 1876, ma senza produrre nell’immediato veri risultati. Bisogna però tener presente la condizione della popolazione del Polesine: i ceti benestanti, che vivevano nelle città e avevano una sufficiente preparazione culturale, in buona parte condividevano la mentalità liberale e anticlericale o addirittura massonica; nei paesi, sostanzialmente isolati, vivevano i lavoratori agricoli, e fra loro la miseria materiale e l’analfabetismo erano le caratteristiche prevalenti. Bastano alcuni avvenimenti dell’ultimo ventennio del secolo a far evocare il quadro generale: nel 1882 la rotta dell’Adige, nel 1884 il primo grande sciopero agrario al grido di “la boje!”, nel 1889 l’inizio della grande emigrazione verso il Brasile, che durerà dieci anni, con l’illusione di trovare la fortuna. I parroci lamentavano di aver a che fare con gente che pensava la fede cristiana con mentalità pagana e superstiziosa, e che si lasciava attrarre dalla propaganda socialista: ma allora era questa propaganda che sembrava parlare concretamente ai poveri.
Tuttavia, sia pure con qualche lentezza anche i cattolici si confrontano con la realtà sociale della nostra terra: da una parte – pur fra molte difficoltà economiche – si dotano di strumenti per il miglioramento culturale (nel 1885 nasce, con l’impegno anche del tipografo lendinarese Giovanni Battista Buffetti, il “Bollettino della Santa Lega” per diffondere le “buone letture”; nel 1901 nasce, per incitamento di mons. Sichirollo, “La Settimana”, il periodico diocesano che è diretto da mons. Ettore Bonincontro); dall’altra parte si hanno iniziative pratiche, prima di tutte la creazione di Casse Rurali per consentire ai lavoratori agricoli di ottenere piccoli prestiti: la prima Cassa sorse a Molinella di Lendinara nel 1893, tre anni dopo le Casse Rurali erano già 41. In questo campo, a fianco dei parroci erano attivi molti laici, e basterà ricordare Lorenzo Lorenzoni, un altro lendinarese.
Come spesso succede, anche nell’Opera dei Congressi dopo qualche tempo cominciarono ad emergere interpretazioni contrastanti che si tradussero anche in conflitti interni al movimento cattolico: questi furono risolti drasticamente da Pio X che nel 1904 sciolse l’Opera. Il provvedimento, però, non riguardò la diocesi di Adria, dove mons. Sichirollo svolgeva un prezioso ruolo equilibratore. Il papa curò, naturalmente, di non disperdere l’esperienza acquisita dalle organizzazioni laicali, e diede loro una nuova configurazione in quattro associazioni aventi finalità distinte ma complementari: oltre alla Società della Gioventù Cattolica si ebbero tre cosiddette Unioni con il cómpito di studiare la formazione personale, la realtà socio-economica e la situazione politica (il divieto della partecipazione alla vita politica non riguardava la dimensione amministrativa di Province e Comuni).
Fino ai primi anni del Novecento le associazioni laicali erano tutte maschili: l’associazione femminile nacque solo nel 1908. In diocesi l’organizzazione femminile nacque poco dopo soprattutto per merito di Luisa Bianchini.
La prima guerra mondiale vide, nella fase preparatoria, i cattolici in posizione contraria; poi, una volta che l’Italia entrò nel conflitto, i cattolici ritennero che l’andare al fronte fosse un dovere di lealtà verso la patria. In tal modo il nostro movimento laicale diocesano fu privato di molte forze trainanti. Finita la guerra, il mondo cattolico fu vivacizzato dalla nascita del Partito Popolare, fra i cui fondatori furono due allievi di Sichirollo, già impegnati nelle organizzazioni di Chiesa: Umberto Merlin e Carlo Belloni. A questi si affiancò presto Carlo Cibotto, dirigente prima dei giovani e poi degli uomini di Azione Cattolica, ma assai attivo anche nel campo sociale e in quello politico.
Nel periodo a cavallo della guerra i pontefici continuarono a migliorare l’organizzazione delle associazioni laicali: nel 1915 il papa Benedetto XV aveva creato la Giunta direttiva a livello nazionale e a livello diocesano, per dare un coordinamento alle 5 associazioni (le quattro maschili e quella femminile) che saranno comprese nell’unico nome di Azione Cattolica; nel 1923 Pio XI – che definì l’Azione Cattolica come “collaborazione dei laici all’apostolato gerarchico della Chiesa” – ripensò lo statuto prevedendo quattro associazioni (Unione Uomini, Gioventù Cattolica, Universitarii e Unione Femminile (a sua volta divisa in tre associazioni: Donne, Giovani e Universitarie).
L’affermazione del Fascismo trovò favore e opposizione anche nel mondo cattolico polesano. Dopo l’8 settembre 1943 molti parroci svolsero, con chiaro rischio, un ruolo non trascurabile nella protezione di militanti antifascisti. Fra i laici è emblematica la figura di Torquato Fraccon, nato a Pontecchio, formatosi nell’Azione Cattolica di Rovigo, costretto nel 1925, a 38 anni, a trasferirsi con la famiglia a Vicenza: da sempre antifascista, si spese per proteggere ebrei e soldati inglesi rimasti isolati; il 25 ottobre 1944 fu arrestato insieme al figlio Franco, ventenne: entrambi deportati a Mauthausen, vi morirono dopo sette mesi.
Cessata la guerra, nell’Azione Cattolica della nostra diocesi si ebbe una positiva fioritura di partecipazione, sotto la guida di personalità in vario modo significative: come Agnese Simoni, che spese la sua breve vita nella dedizione agli altri; o come Mario Vittorio Rossi, presidente diocesano della Giac, poi divenuto presidente nazionale della stessa associazione nel 1952, sostenitore della scelta religiosa dell’Azione Cattolica e quindi contrario alla contaminazione con la politica: di fronte al rischio dell’affermazione di partiti che facevano professione di materialismo, la contaminazione fu allora ritenuta necessaria al fine di creare un argine a quella presenza, per cui nel 1954 Rossi fu costretto a dimettersi. Il Concilio ribadirà l’importanza della scelta religiosa: ma il decreto sull’apostolato dei laici verrà approvato più di dieci anni dopo, sotto il pontificato di Paolo VI, un una già mutata situazione culturale.
Il Concilio Vaticano II aveva preso il via l’11 ottobre 1962, e nel giro di tre anni aprì nuovi, straordinarii orizzonti alla Chiesa, ma creò anche sconcerto in chi vedeva rivoluzionato il proprio modo abituale di pensare la fede in Gesù Cristo. Comunque sia, la partecipazione dei laici all’apostolato della Chiesa venne ripensata, e l’Azione Cattolica ne trasse la nuova organizzazione unitaria e soprattutto la riaffermazione della sua scelta religiosa.
In diocesi di Adria l’assistente diocesano dell’epoca, mons. Fausto Andretto, svolse importanti riflessioni sul ruolo dei laici, ma non è detto che fossero in molti ad accoglierle. Nel 1969 entrò in vigore il nuovo statuto, e la presidenza diocesana fu confermata a Livio Crepaldi. Si tennero incontri per spiegare lo spirito del Concilio, ai quali parteciparono centinaia di dirigenti parrocchiali, si manifestò un notevole fervore specialmente (com’è ovvio) da parte dei giovani, ma poi non si videro grandi frutti. Ancóra nel 1971 sul periodico diocesano un parroco si domandava: “I laici dove sono?”.
I laici c’erano, in diocesi, e i talenti non mancavano se Maria Rossatti, vicepresidente diocesana delle donne, fu invitata a Roma nel 1971 a collaborare con il Centro Nazionale; se nell’aprile 1972 don Paolo Milan, assistente diocesano, fu chiamato a Roma come assistente collaboratore per la catechesi degli adulti; se nel 1973 Livio Crepaldi venne eletto vicepresidente nazionale per gli uomini... I laici, con i loro talenti, dunque, c’erano, ma in diocesi faticarono a trovare un terreno disposto a lasciarsi lavorare.
Nel 1963 l’Azione Cattolica era presente in quasi tutte le parrocchie della diocesi, con complessivi quasi 20.000 iscritti; oggi è presente in una trentina di parrocchie, e gli iscritti non arrivano a 1.000, e sono prevalentemente anziani. La ventata di libertà fatta intravedere dal Concilio aveva portato alla nascita di nuove associazioni ecclesiali che offrirono un’alternativa all’Azione Cattolica per chi vedeva nell’organizzazione parrocchiale e nella collaborazione con la gerarchia un lìmite alla libertà personale; ma, poi, ha cominciato a verificarsi il progressivo svuotamento di tutti gli organismi di partecipazione democratica – ecclesiali e civili –, in relazione all’affermarsi di una tendenza al disimpegno e alla chiusura nell’individualismo: fenomeno che costituisce oggi un problema gravoso per la comunità civile non meno che per quella ecclesiale. Ed è questo il campo in cui l’Azione Cattolica è chiamata oggi a spendere i propri talenti.
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